Cyberbullismo e pericoli della Rete, la famiglia primo centro educativo

“I nostri ragazzi devono essere ‘educati’ all’utilizzo di internet, un ‘grande fratello’ potenzialmente utile, ma anche estremamente pericoloso: è un contenitore in cui possono proliferare fenomeni di violenza, di istigazione al reato o all’autolesionismo, o di cyberbullismo. E in questo processo di apprendimento è fondamentale il ruolo della famiglia, che è il primo centro educativo per eccellenza, che la scuola ha il dovere di affiancare, ma che non può e non deve sostituire”. Sono le parole con cui l’avvocato Antonio Maria La Scala, specializzato in Diritto Penale della Pubblica Amministrazione e Diritto Penale Tributario, Presidente dell’ Associazione Nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse ‘Penelope’ e dell’associazione Gens Nova, si è rivolto agli studenti dell’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ di Pescara nel corso dell’incontro ‘Cyberbullismo, un Virtuale Problema Reale. L’iniziativa è stata organizzata nell’ambito del ‘Premio Borsellino’ e coordinata dalla dirigente Alessandra Di Pietro. Ne sono stati protagonisti gli studenti delle classi 1 e 2  A e 1 E, con le docenti Concetta Dell’Osa, Manuela Fusilli e Patrizia Dei Nobili. Presenti, inoltre, la professoressa Rosa De Fabritiis, referente della Funzione strumentale Benessere Studenti, la professoressa e psicoterapeuta Marina Rampa e la volontaria del ‘Premio Borsellino’ Francesca Martinelli.

“L’iniziativa – ha spiegato la dirigente Di Pietro – rientra nel percorso del ‘Premio Borsellino’ che è educazione alla legalità ma anche all’affettività per imparare a coltivare e nutrire sane relazioni nell’ambito della comunità scolastica e all’esterno. E’ anche, infine, educazione ai Media poichè dobbiamo guidare i ragazzi all’acquisizione esperienziale e consapevole della propria cittadinanza digitale. Imparare a usare la rete significa anche apprendere gli strumenti conoscitivi più adeguati per riconoscerne rischi e trappole. Il cyber bullismo è un fenomeno che ha assunto contorni e dimensioni preoccupanti e dilaganti ed è la manifestazione in Rete di un fenomeno più ampio e meglio conosciuto come bullismo. L’azione della scuola deve muoversi su due fronti: da un lato deve intercettare il disagio delle eventuali vittime, fornendo gli strumenti di supporto, sostegno e difesa più adeguati. Dall’altro, deve saper riconoscere i ‘bulli’ che, anch’essi, vanno individuati e presi in carico dal sistema educativo per cominciare un percorso di recupero dei valori e modifica dei propri comportamenti”. “La prima regola per i ragazzi – ha sottolineato l’avvocato La Scala – è che in rete non va caricato alcunchè perché internet è il grande calderone con tanti figli gemelli, Facebook, Twitter, Whatsapp, Tik Tok, Instagram. Qualunque immagine, notizia, post, noi carichiamo su uno solo di quei figli gemelli, diventa proprietà di internet che non cancella mai nulla e dunque una foto imbarazzante può saltare fuori sempre, alimentando involontariamente il mercato pedo-pornografico e scatenando fenomeni di cyberbullismo. Per questo i minorenni non devono mai avere profili social, Instagram, Facebook, spesso aperti dagli stessi genitori o dai ragazzi con dati falsi. Il cyberbullo non è solo quello che scrive o minaccia, ma anche quei ‘lettori’ silenziosi, testimoni del reato che si sta consumando in rete, che si limitano a mettere un like o a rimbalzare foto e post, divenendo complici del reato stesso, dunque penalmente perseguibili con condanne adolescenziali che restano sulla fedina penale del singolo e conseguenze che avranno un peso per il resto della propria vita. Quando siamo vittime di bullismo o cyberbullismo o conosciamo una vittima, il primo passo è quello di parlarne con un adulto fidato, reagire alla prepotenza, denunciare e difendere i propri diritti e la propria dignità e soprattutto dedicare tempo al dialogo e all’ascolto. Purtroppo oggi troppi ragazzi ogni giorno si sentono schiacciati dalla prepotenza e invece non dobbiamo accettare passivamente minacce, diffamazione, azioni aggressive, compiute anche attraverso l’uso delle tecnologie. Occorre chiedere aiuto, denunciare, aver fiducia nella legge”.

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